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PERSI NELLA TECHNO -1
di Skilem
27.10.2024 |
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"Mentre la mia lingua si perdeva sulle sue grandi labbra sentì delle mani risalire i mie glutei..."
------------- consiglio musicale per accompagnare la lettura, cerca su YouTube :
Jon Hopkins live @ Second Sky Festival 2021.09.19 (DAY 2 STREAM)
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La coda fuori da quel locale a Berlino era una prova di resistenza.
Ottobre era appena iniziato, ma l’autunno berlinese era più pungente del nostro inverno inoltrato in riviera.
Mi stringevo silenziosa nella giacca a vento, perché sotto indossavo una mise adatta al dress-code, che non era certo molto coprente.
Tu, come sempre al mio fianco, mi guardavi senza parlare, ma i tuoi occhi già brillavano per la consapevolezza di quello che ci attendeva, una volta varcata quella porta.
Le gambe coperte solo dalle calze nere tremavano, i capezzoli durissimi spingevano contro l’abito.
I bassi della techno, che facevano vibrare le poche finestre, e il pensiero del calore che mi attendeva all’interno, erano le uniche cose che mi trattenevano dallo scappare da quella silenziosa coda interminabile.
Finalmente, eravamo davanti alla porta.
Il brivido del freddo si mescolava a quello dell’eccitazione.
Sarebbe stato quell’armadio d’uomo alla door-selection a decretare se quella notte avremmo ballato nel tempio o ripiegato verso mete secondarie.
Uno sguardo scanner che ci gelò oltre il freddo che già ci attanagliava.
Un cenno d’approvazione.
La porta si aprì mentre il mio cuore esplodeva.
Lasciammo la luce e il gelo del giorno per varcare un ingresso buio, afoso e vibrante. Eravamo dentro.
Di nuovo, in quello che era diventato un rito atteso di ogni nostra fuga berlinese.
L’ingresso al piano terra era un immenso spazio industriale, immerso nel buio quasi totale. Solo a destra si intravedevano le luci del guardaroba e si stagliava maestosa la scala metallica che portava al dancefloor principale; a sinistra, lontano, un labirinto di divani neri abbandonati nel buio.
Finalmente mi spogliai della mia corazza di piume d’oca, rivelando i seni strizzati in un micro abito di morbida belle nera, con tanti nastri a tirarmi seno e fianchi; stretto da un corsetto di raso e metallo, senza coppe.
L’abito, che mi arrivava appena sotto il sedere, lasciava ben in mostra il reggicalze minimal e multi nastro che mi fasciava le cosce morbide.
Sotto, niente intimo.
Ho sempre amato sentire i nastri tirare, fasciarmi nei punti giusti e lasciare che gli umori bagnassero liberamente le mie cosce.
Ai piedi, stivali al ginocchio con suola di gomma, stile cosplay giapponese (sicuramente non troppo erotici, ma sicuramente tattici per affrontare l’avventura).
Per te era più semplice: pantaloni di tela morbida, con il cavallo basso e una cintura toracica di pelle che ti abbracciava le spalle larghe e si chiudeva sul pettorale tatuato, con un anello di metallo.
Il tuo intimo: un sospensorio di nastri neri che ti ingabbiava le palle, lasciando il cazzo libero di muoversi.
Nel buio, con solo dei freddi neon a illuminarci, di fronte l’uno all’altra, ci guardammo come se non ci fossimo ancora visti. Come se non sapessimo cosa si celava sotto la pesante copertura dell’altro.
Ti avvicinasti, baciandomi con la lingua umida, e agganciasti la catena che, dall’anello sul tuo petto, raggiungeva quello sulla mia schiena.
(Con l’esperienza avevamo imparato che il flusso dei corpi che ballano può essere un maremoto che porta a perdersi, e non volevamo passare le ore successive con l’ansia di ritrovarci. Quella catena era il nostro cordone di sicurezza: legava esternamente quello che era già legato intimamente).
Le vibrazioni della musica mettevano in subbuglio le nostre viscere a ogni passo che facevamo su quella scala; in cima, la pista principale era piena d’energia.
Installazioni di luci rimbalzavano sulle nude pareti di cemento armato, sui tramezzi di metallo, le reti e i macchinari industriali che facevano da quinte a un muro di casse, che pompava una techno ipnotica nei corpi dei nostri simili, che, da chissà quante ore, erano in quel vortice di beat e luci fredde.
Il dress code prevedeva il nero rigoroso e qualunque accessorio BDSM a nostro piacimento: quindi la pista era un tripudio di corpi seminudi, fasciati di catene, pelle, rete, nastri e corde. La gelida attesa era stata ripagata già da quella visione, dall’odore acre di corpi sudati, di umori e alcol, dalla musica che ormai scandiva i battiti dei nostri cuori.
Non so da quanto stavamo ballando: occhi chiusi colpiti dai flash di luci, bocche aperte a reclamare aria e mani addosso, le tue e quelle di chissà chi altro….
La catena che ci univa mi faceva sentire sicura di potermi abbandonare alla musica, sapendo che, nel tuo viaggiare, eri sempre a un passo da me.
Ma, nonostante avessi la certezza della tua presenza, non potevo solo godere della musica; i miei occhi volevano riempirsi di quei corpi in movimento, di quel promiscuo maremoto di carne e pelle nera.
Fu allora che la notai.
In piedi, appoggiata alla rete metallica dal lato opposto alla consolle, biondissima, con una pelle bianca come il latte che faceva risaltare ancora di più i suoi tatuaggi sotto la tutina a rete.
Una tutina che comprimeva due enormi seni e fianchi generosi stretti da una cintura con lunghe frange di pelle.
Ci stava gustando con gli occhi, mentre, tra le luci, seguiva i nostri corpi.
Era in quell’angolo da chissà quanto, a perdersi nei nostri movimenti dominati dalla musica.
Incrociare e sostenere il suo sguardo fu forse l’interruttore decisivo, perché sul suo viso si aprì un sorriso malizioso e provocatorio.
Da quell’istante, a ogni strobo, si faceva sempre più vicina, fino a che le sue labbra trovarono le tue.
Mi stringevi a te da dietro, mentre la techno muoveva il mio corpo e la tua lingua pompava nella sua bocca.
Vi guardavo mentre i beat salivano veloci come la mia eccitazione.
Le mie mani iniziarono a sfiorare le sue cosce texturizzate dalle calze a rete, per testare se l’interesse fosse per entrambi: le sue mani, in tutta risposta, si insinuarono sotto il mio abito, trovandomi libera e già copiosamente bagnata.
In un attimo di lucidità ci guardammo tutti e tre: non volevamo altro che continuare ad assaporarci mentre la musica ci attraversava. Furono minuti lunghissimi quelli che ci trovarono a baciarci, strusciarci, esplorarci e ballarci addosso mentre la musica ci dava il ritmo e ci fomentava.
Senza una parola, lei afferrò la catena che ci univa e ci invitò a seguirla.
Davanti a noi, questa giunonica cavallona, sicuramente nordica, ci guidava, ipnotizzandoci con il suo generoso fondoschiena che oscillava delizioso su quei massicci tacchi vertiginosi.
Ci guidò attraverso la seconda sala, fino a una zona meno affollata, dietro al bancone principale.
Sembravano cabine, delimitate da reti, dove una volta forse erano alloggiate strumentazioni industriali; sul fondo della sala, un’altissima e stretta vetrata ci mostrava già il tramonto.
Avendo lasciato l’imbarazzo insieme alla giacca a vento, la spinsi dolcemente contro la rete, leccai il collo fino alle labbra e la baciai ancora; con una mano cercai il suo immenso seno, mentre appoggiavo la mia fighetta bagnata a cavallo della sua coscia.
Lei inarcò la schiena e mi infilò le dita dentro, schiacciandomi le chiappe da dietro, mentre tu, in ginocchio, le avevi già aperto le gambe e le succhiavi avidamente il clitoride, lasciando che i suoi umori ti bagnassero tutta la barba.
Gemevamo entrambe, avvinghiate l’una all’altra; tu, ora in piedi davanti a noi, ti godevi lo spettacolo mentre preparavi il tuo cazzo.
Ti facesti strada tra le nostre lingue, facendoci sentire la tua erezione e, quasi risvegliate dal torpore saffico, lo afferrammo. Lascia la precedenza all’ospite, che prontamente si inginocchiò per assaporarlo.
Ci ritrovammo cosi faccia a faccia, mentre la nostra giunonica compagna ti succhiava golosamente il cazzo. Occhi negli occhi: i tuoi pieni di piacere mentre Il tuo copro vibrava e riluceva , i miei di straboccanti d’ eccitazione nel guardare la tua estasi. Godevo della scena, continuando a ballare, mentre le mie dita scollegavano la nostra catena per poi inoltrarsi nel mio sesso ed infine nella mia bocca.
Tirandole dolcemente i capelli, la facesti alzare e, affondando le mani in quel morbido e generoso seno, la baciasti mentre con le dita la penetravi tra le labbra umide. Lei, spostandosi leggermente, si levò il plug anale e si piegò a 90 per offriti meglio il suo accogliente culo. Mi guardavi cercando la mia libido e, mentre ti sorridevo vogliosa, glielo spingesti dentro senza troppi indugi. Alla prima botta lei mi strizzò forte i capezzoli e inarcò la schiena ancora di più, sbattendoti addosso.
Quest’immagine suscitava in me sempre forti emozioni, contrastanti, anche se forse la lieve gelosia, che si insinuava nei pensieri, era solo la miccia di un piacere più grande. Vederti dare piacere ad un altra, mentre mi cerchi con lo sguardo, mentre cerchi la mia approvazione e la mia eccitazione non era altro che il gioco di condivisione continua che avevamo scelto per noi.
Ma stare solo a guardare non ha mai fatto per me: mi chinai a gambe aperte per leccare la sua carnosa figa e raccogliere i sui copiosi umori e cospargermeli sulla faccia.
Mentre la mia lingua si perdeva sulle sue grandi labbra sentì delle mani risalire i mie glutei.
Qualcuno dall’altra cabina allungava le mani da sotto la rete, che partiva, in realtà, da un metro sopra il pavimento.
Presa del nostro terzetto non mi ero accorta che non eravamo gli unici a godere del piccolo prive industriale, altri gruppi nelle altre cabine, si stavano divertendo mentre la musica continuava a dare ritmo ai nostri amplessi.
Quelle mani continuavano ad esplorarmi e io le lascia fare, perché la mia estasi era vicina e volevo sentire sbattermi dentro, mentre tu continuavi a sfondare il culo alla nostra nuova amica. Afferrai quella mano sconosciuta, giocando con i miei umori e le sue dita, incoraggiandola a continuare, ad aumentare, mentre la mia bocca ora succhiava quegli enormi capezzoli durissimi.
La prima a venire fui io: le dita sconosciute che entravano e uscivano magistralmente e a ritmo del mio ballo, i seni di lei che mi sbattevano in faccia, la tua faccia deformata da un sublime piacere.
Poi fu lei, che mi afferro le spalle per fare da contraccolpo alle tue botte finali che la portarono ad un orgasmo potente, ululante; tanto quanto quello che esplose subito dopo sul tuo viso goduto, provato e sudato.
Restammo per alcuni secondi tutti in posizione, ansimanti, pieni di piacere, mentre lentamente uscivamo da quel viaggio che ci aveva dissociato, lasciandoci avvolti solo dalla musica e dal nostro sesso. Quegli istanti necessari a immagazzinare tutte quelle emozioni, sensazioni, vibrazioni e immagini, che come dei flash, ad un ritmo elettronico si stavano archiviando nei nostri celebrali anfratti.
Mi alzai, raccogliendo la nostra catena, per riportarla nel suo dislocamento ufficiale, sul tuo petto.
Cercai prima i tuoi occhi, poi la tua pelle ed i file le tue labbra per ricongiungermi a te.
Testi la mano alla nostra compagna che ci raggiunse per un morbido lungo abbraccio a tre. Ci bacio e si allontanò strizzando l’occhio e mandandoci bacini nell’aria satura di sesso.
Ti raccontai poco dopo quello che era accaduto tra le mie gambe mentre tu eri preso dal suo dono, e come mi aspettavo , la cosa ti eccitò nuovamente.
Di chi erano le mani che mi avevano portato all’orgasmo?
Avevo bisogno di aria fredda e di una sigaretta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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